Verso una teologia del diritto privato?

Recensione di Domenico Bilotti (docente di Storia delle Religioni Università Magna Grecia di Catanzaro) a "La forza di Essere Migliori".

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C'è una peculiare raffinatezza logica nell'itinerario argomentativo e teologico di Vito Mancuso. Il volume dove meglio l'acume discorsivo si sposava allo sforzo esegetico era probabilmente "L'anima e il suo destino", ma il registro comunicativo non ne usciva svilito. Frequenti semplificazioni, numerosi cambi di passo e un'aneddotica mai ingombrante rendevano e hanno reso l'opera un testo fruibile a diversi livelli anche dal pubblico generalista, e fuori dall'ambito, invero assai più stretto, degli storici delle dottrine teologico-canoniche, degli studiosi di escatologia e dei teologi sistematici.

Con l'ultimo volume, "La forza di essere migliori" (Garzanti, 2019), Mancuso si rafforza ulteriormente nel proposito di calare nel concreto la sua indagine teologica; dopo aver percorso le implicazioni etiche dell'incorporeità (e perciò ultimative e necessarie ai fini della decisione pratica), dopo aver portato le Scritture nella storia e aver analizzato la storia nel prisma delle Scritture, oggi Mancuso si sofferma sull'impegno individuale, portando a un'altra dimensione un corpus con una sua linea di coerenza interna davvero suggestiva. Dalla metafisica all'etica, dall'etica alla politica (la sfera storica del discorso politico), dalla politica alla pratica.

La storia della Chiesa ha consumato tra il 1965 e il 1983 due svolte epocali. Dopo il Concilio Vaticano II, e la sua ecclesiologia dinamica, è diventato impossibile al canonista disinteressarsi della teologia, se mai davvero lo avesse fatto; dopo il "nuovo" Codice di Diritto Canonico al teologo capita sempre più spesso di doversi confrontare con gli strumenti privatistici e amministrativi dei diritti codificati secolari. Se non lo fa, su una serie di questioni (dalle grandi migrazioni ai temi eticamente sensibili, dal patrimonio ecclesiastico all'impegno civile), perde di efficacia, di incisività.

Si direbbe allora che Vito Mancuso, con queste oltre quattrocento cartelle che si prestano ad agile lettura e a più avide riletture, esplori oggi le condizioni, tra le altre, di una teologia del "diritto privato", dove la dimensione privatistica è data contemporaneamente dalla responsabilità e dalla vocazione individuali, oltre che dalla natura necessariamente intersoggettiva del nostro stare sulla terra.

Si badi, non si fa qui riferimento a un'accezione un tempo invalsa ancorche' inesatta di diritto "privato" come un diritto schiacciato sugli statuti e sugli istituti della proprietà e del possesso, un diritto a misura dei rapporti sociali dominanti e modellato esclusivamente sul debito e sul credito, sulla pretesa economica speculativa, se non quando proditoria.

Sul piano teorico e diremmo pure pastorale, tutto il volume di Mancuso è un esplicito attacco alla ingorda mercificazione del tempo e degli spazi, a una mentalità egoistica e involuta, a una dimensione solo patrimoniale dell'agire normativo associato.

Ci si riferisce al diritto privato nella sua poiesi originaria, quella della relazione paritetica giuridicamente rilevante che si inserisce in uno scambio sempre produttivo di effetti, e sempre e comunque non di natura esclusivamente patrimoniale: lo scambio leale, che interpreta i codici dell'irripetibile differenza di ciascuno e li mette in contatto. Non un diritto dell'avere ma un diritto del dare. Non un diritto dell'apparire ma un diritto dell'essere.

Col linguaggio poliedrico che gli è proprio, Mancuso, eclettico e sincretistico solo in quanto serve a forgiare l'inchiostro nell'idea, investiga le implicazioni aperte e onnicomprensive del discorso teologico sulle virtù. Ne fa un inno alla possibilità d'azione e alla necessità della comunicazione; uno studio della trascendenza che poggia al tempo presente, una sfida che convoca i padri della Chiesa quanto quel popolo di Dio di marca secondo-conciliare dove si è figli solo in quanto reciprocamente portatori della dignità umana a essenza propria ed altrui. Una lettura edificante e scomoda insieme che non può darsi senza dibattito e confronto di posizioni. Aspro allorchè serva ma proiettato ai pensieri e alle opere (ai motivi e agli atti, chioserebbe il giurista comparatista) degli esseri umani di "buona volontà".