Noi siamo e non siamo il nostro corpo

Intervista a cura di Gianfranco Brevetto per la rivista EXàgère – Exagere [Link] – Noi siamo e non siamo il nostro corpo – Intervista a Vito Mancuso [PDF]

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– Professore, lei ha dedicato una delle sue opere più apprezzate all’anima. Pur essendo un concetto usato di frequente, il suo vero senso spesso sembra sfuggire. Ci può aiutare a precisarlo? In che relazione è con il corpo?

– Io penso che si possa facilmente riassumere in poche righe. L’anima è uguale alla vita, lo spirito è uguale alla libertà. Prima ancora c’è il corpo e, in una condizione di possibilità, direi corpo uguale struttura. Detto questo, occorre chiarire queste apparentemente semplici eguaglianze. Nel caso di corpo uguale struttura, noi diciamo di qualunque oggetto che è un corpo. La poltrona sulla quale ora sono seduto e tutto ciò che vedo sono corpi fisici; gli enti, per presentarsi al mondo, sono dotati di un corpo materiale, questa è un’evidenza. Il termine anima è sorto nella gran parte delle tradizioni per designare i corpi che si muovono da sé in quanto dotati di vita. In questo senso anima uguale vita, si ha, infatti, nel vivente una disposizione dell’energia tale da far si che il totale dell’energia che costituisce il corpo non sia racchiusa integralmente nel corpo fisico. Esiste un’eccedenza di energia libera, un surplus di energia libera. A partire dal primo organismo vegetale, dai primi organismi animali e salendo in tutte le forma di vita più complesse, noi abbiamo che l’energia totale è maggiore a quella che è propria della massa corporea. E questo fa sì che il corpo sia animato…

– Quindi l’anima starebbe ad indicare questo surplus di energia comune a tutti gli essere viventi…

– L’anima è stato il concetto che la mente ha escogitato per designare appunto l’animazione, cioè ciò che vive. Quindi tutto ciò che vive ha un anima. Aristotele ha visto benissimo quando ha indicato l’esistenza di un’anima vegetativa. Hegel, nei primi anni dell’Ottocento, diceva che non esisteva un’opera tanto degna di considerazione sull’argomento quanto il De Anima di Aristotele. Noi non possiamo dire molto di diverso, lì, in quell’opera, c’è depositata una grande sapienza, proprio perché Aristotele era una grande osservatore delle dimensione biologica, fisica prima che metafisica. Quindi, ripeto, tutto ciò che vive ha un’anima. Gli animali, lo dice la parola stessa sono corpi animati, intendendo per anima appunto questa energia libera. Naturalmente più sale questa eccedenza rispetto all’energia depositata nel corpo, più il livello della vita aumenta in complessità, in organizzazione, in consapevolezza, in capacità mentali. Quando queste capacità mentali giungono alla possibilità di capirsi, di essere liberi rispetto alla proprie determinazioni, di essere consapevoli e creativi, ecco che la mente per designare questa condizione ha creato il termine spirito. Un’anima libera e consapevole, lo spirito, è l’essenza specifica di un essere umano. Il fatto che noi siamo corpo lo condividiamo con tutti gli enti che sono comparsi su questo pianeta e nell’universo; il fatto di essere corpi viventi lo condividiamo con tutti i corpi viventi comparsi su questo pianeta e, probabilmente, comparsi anche in altre parti dell’universo. Che siamo corpi non solo animati ma anche capaci di consapevolezza, libertà e creatività, lo condividiamo solo con il resto dell’umanità e questo ci rende unici e dotati di spirito. Quindi parlare di anima e spirito ha senso proprio per capire questa peculiarità dell’essere umano.

– Sì sono concetti moto chiari ed anche affascinati ma, se così è, mi chiedo: allora Dio cosa c’entra?

– Uno dei limiti caratteristici del discorso religioso in occidente, e che mette in crisi molti occidentali, è appunto questa dicotomia tra natura e Dio che è anche sottesa alla sua domanda. Ragioniamo come se un’affermazione che riguarda la natura non avesse nulla a che fare con Dio. Come se parlare di Dio significasse, appunto, parlare solo di sovra-natura. Questo è spiritualismo, è quella dicotomia della mente, quel dualismo ontologico di fondo, che porta a ritenere che esista il divino solo in quanto contrapposto all’umano. Lo spiritualismo ha generato la sua antitesi speculare che è il materialismo. Io penso che si tratti di riannodare profondamente la grande alleanza tra materia e spirito. Ma non voglio sfuggire alla sua domanda: Dio cosa c’entra? Per me è fonte di meraviglia il comprendere che dalla polvere primordiale sia potuta scaturire la vita e che, dalle prime forme di vita, sia potuta scaturire l’intelligenza. Questa considerazione rimanda ad una storia stupefacente che è la storia naturale e che le religioni hanno interpretato come creazione. In effetti, se per ipotesi avessimo potuto osservare da lontano, prima del big bang, il puntino dal quale è scaturita tutta la materia che compone l’universo, le sue forma di vita, l’intelligenza umana, tutta la tecnologia che ci circonda, ci sarebbe sembrata una cosa assurda che questo sarebbe potuto avvenire. Eppure è avvenuto. In modo continuo e discontinuo allo stesso tempo, è sempre la stessa energia che lavora e che lavora producendo livelli di organizzazione e di ordine via via più complessi.

– Fino agli esseri umani che hanno sentito il bisogno di parlare di Dio.

Certamente l’uomo ha sentito il bisogno di un Dio anche per rispondere alla paura e all’ignoranza. Normalmente oggi i filosofi evoluzionisti e i biologi pensano che il divino abbia una funzione di tappabuchi: c’era l’ignoranza, non si sapeva ad esempio da dove venissero molti fenomeni naturali come i fulmini, ed è nato Zeus. Che ci sia stata anche questa funzione è innegabile, ma questa dimensione dell’ignoranza e della paura è legata non solo alla religione ma anche all’arte, alla scienza e alla tecnica, le quali non sarebbero sorte se gli esseri umani non avessero avuto paura del buio o del nemico. Tutto ciò che l’uomo produce viene anche da quell’impasto che è fatto di paura e di ignoranza. Ma non è riducibile solo a questo la scintilla che ha generato le religioni: c’è anche la meraviglia, c’è anche lo stupore, c’è anche il bene, cioè quella capacità sbalorditiva che ha l’essere umano, che per molti altri aspetti egoista, avido, cacciatore, e che tuttavia talora diviene libero da queste ultime determinazioni e antepone la non violenza, la solidarietà, la giustizia, la pace. Sono questi i valori che le grandi tradizioni spirituali hanno sempre affermato come decisivi: Dio è amore, Dio è non violenza, Dio è pace. Il fattore divino è il tentativo d’interpretare questa storia assolutamente meravigliosa e terribile, fatta di paura e di stupore, che ci ha generato e dalla quale emerge l’anima e lo spirito.

– Per alcune religioni, mi riferisco anche a quella cristiana, l’anima è anche legata con un altro concetto, quello di salvezza. Come spiegare quest’ultimo concetto ai credenti e non credenti di oggi?

– In latino il termine salus rimanda a “salute” e insieme a “salvezza”. Salvezza rimanda quindi ad un bene realizzato, a quello stato di equilibrio profondo al quale un essere perviene quando sta bene. Questo è il rimando etimologico, per rispondere in prima battuta. Le religioni, ma anche alcune filosofie tra cui senza dubbio quella di Platone, hanno una dimensione soteriologica nel senso che vogliono riscattare l’umanità da una condizione di non salute, di squilibrio, di malessere, e portare benessere. Ognuna lo fa a modo suo. La differenza fondamentale nella salvezza che annuncia il cristianesimo rispetto a quella della altre religioni sta nel fatto che la salvezza cristiana si presenta come una salvezza mediante redenzione, mentre per le altre religioni la salvezza è qualcosa a cui lo stesso essere umano può giungere con le sue sole forze. Occorre distinguere il contenuto della salvezza dalla forma della salvezza. Il contenuto della salvezza è la pienezza della vita e, tutte le religioni la contemplano (e anche, come ho detto, alcune filosofie). Il contenuto della salvezza non può che essere la pienezza della vita, una pienezza che va anche al di là della dimensione della morte. Per quanto attiene alla salvezza come forma (o come strumento), vi sono religioni che presentano la possibilità per l’essere umano di giungere alla pienezza della vita mediante la propria libertà nella misura in cui essa osserva i comandamenti, le dottrine, i percorsi spirituali: gli esseri umani possono scegliere liberamente di camminare lungo questi sentieri e attingere, se lo fanno responsabilmente, alla salvezza. Questo è quello che dice il buddismo, l’islam, l’ebraismo. Quest’uyltima religione afferma che c’è la legge che ci è stata data e che se tu obbedisci entrerai nella vita eterna. Questo è quello che sostengono quasi tutte le religioni. Il cristianesimo si differenzia perché sostiene che la salvezza non è qualcosa che l’essere umano può ottenere, ma è qualche cosa che è stata già ottenuta con la morte e resurrezione di Gesù Cristo. La salvezza cristiana ha quella specificità di essere salvezza mediante redenzione: si partecipa alla salvezza perché si partecipa alla vita di Cristo.

– Tornando al concetto di corpo, mi chiedo come mai la maggior parte delle religioni hanno fatto, ed in parte fanno ancora, di usi e prescrizioni che contemplano una negazione. Come si spiega?

Tutte le religioni, e buona parte delle filosofie antiche, si presentano, da questo punto di vista, anche come disciplina, mortificazione, negazione, controllo del corpo. Anche il buddismo, che potrebbe essere la religione opposta al cristianesimo per tanti versi, come figura esemplare pone il monaco, colui che rinuncia, che si astiene dalle relazioni sessuali. Ma questo accade, più o meno in tutte le religioni. La realtà è che il corpo può essere una via di salvezza, e io insito molto sulla dimensione corporea materiale, ma può essere anche una via che allontana da un discorso spirituale, da un discorso di relazione armoniosa. La verità è che noi siamo, e non siamo, il nostro corpo. Noi non potremmo essere neanche anima se non ci fosse la strutture del nostro corpo, ma d’altro lato il nostro corpo è qualcosa con cui, a volte, non ci identifichiamo totalmente. Ci può capitare, soprattutto ad una certa età, di guardarci allo specchio e di non riconoscerci, il corpo può essere anche il luogo della non accettazione. Quante persone oggi vivono non accettando il proprio corpo. Man mano che si va avanti con gli anni, il corpo non è più il luogo della generazione ma quello della degenerazione o di tanti tradimenti che il corpo stesso compie e che si chiamano malattie. Il corpo è un luogo dialettico in cui la dimensione di mente, di consapevolezza, che è l’anima, si trova esposta a qualcosa che per un verso è identificazione e per l’altro è allontanamento. Questo a causa dell’invecchiamento o di impulsi, desideri, voglie, che ti fanno fare cose alle quali, ripensandoci, provi vergogna e che avresti mai aver fatto. Ne viene che come sbagliava la tradizione ad avere nei confronti del corpo un atteggiamento di mortificazione e di repressione (penso alla sessualità o al cibo considerati come male inevitabile da tenere rigidamente sotto controllo), a mio avviso sbaglia allo stesso modo un certo lassismo contemporaneo che porta a non aver più nessun controllo sulle pratiche sessuali o alimentari. Il corpo è un luogo dialettico che può essere anche una via di negatività, che ci può portare a delle schiavitù, del denaro, del piacere, delle cupidigie e, di conseguenza, a vivere male.

– Una via verso il benessere ma anche una gabbia?

– Sì, Marco Aurelio, che certamente non è un padre della chiesa, diceva che la funzione dell’anima deve essere quella di tò eghemonikòn, di “principio direttivo”. Io credo fermamente in questa dimensione della nostra esistenza grazie a cui il corpo giunge a essere governato da principi di libertà, di autodeterminazione, e non di schiavitù. Le religioni del passato hanno sbagliato, e qui si potrebbe aprire una parentesi sul controllo dei corpi da parte delle gerarchie ecclesiastiche e come questo significasse anche un controllo politico della società. Nel presente il rischio è l’eccesso opposto. La via sta nel trovare questa amicizia asimmetrica tra l’anima è il corpo, asimmetrica perché, a mio avviso, il principio direttivo resta quello della consapevolezza, della mente.