Ritratti in carcere di Margherita Lazzati

Interroghi lo specchio e le chiacchiere si annullano: cos’hai dietro il sorriso? Cosa nascondi tra le sue crepe? Perché solo le pupille sono immobili? Come un abito logoro la vita ti è cucita addosso. È l’enigma svelato per me; mentre l’anima riflette i peccati facendo cadere l’ultima maschera…

unnamedQuesta è una riflessione di Carlo, persona detenuta nel Carcere di Opera-Milano, partecipante all’attività, interna all’istituto di pena, del Laboratorio di lettura e scrittura creativa che, gestito da insegnanti volontari, vi agisce da oltre vent’anni. Carlo è un poeta, e non per gioco (sebbene il diletto sia grande). La sua produzione di versi è di alto livello formale (oltre che di potente impatto intellettivo-emozionale), così come quella mediamente offerta da tutti i membri del gruppo. Il Laboratorio suddetto, fondato illo tempore da Silvana Ceruti, maestra, poetessa e formatrice, ha avuto l’onore di essere ritratto in una mostra fotografica, Ritratti in carcere, allestita all’Ambrosianeum di Milano (via delle Ore 3) sino al 29 marzo e nel relativo catalogo-libro edito da La Vita Felice con l’omonimo titolo. Le immagini sono frutto della sensibilità e della creatività della fotografa milanese Margherita Lazzati, già artefice di reportages sui clochards di Milano o intorno ai diversamente abili. Ora la Lazzati ha “completato” il circuito dei marginali/emarginati sociali (o ultimi? o reietti? di certo i separati). Nessuna morbosità è in queste foto, nessun compiacimento narcisistico, nessun crogiolamento estetico. Semplicemente visi: sguardi intensi o perduti, meditabondi o divertiti, assorti o ironici. C’è pathos. E reticoli di rughe a indicar vite scavate, difficili; sorrisi nonostante tutto; gestualità naturali o pose comunque fiduciose all’obiettivo della Lazzati. Ad accrescere la suggestione il fatto che nelle foto siano stati “cristallizzati” anche i volontari, individualmente o mescolati alle persone detenute. Viene messo in discussione il crisma dell’identità. I crinali del nostro esistere son sempre sottili: su un versante e sull’altro giacciono l’innocenza e la colpa. Ma chi sa mai sino in fondo quale destino sia ad attenderci…

Una cresta separa le scelte: quelle giuste da quelle errate. Ma queste foto non giudicano; sono semmai un recupero di comune umanità, una testimonianza, una ricerca del vero e del buono che alberga in ciascuno di noi, empaticamente recuperabile. Allo scopo può servire una poesia condivisa. Possono servire questa pubblica mostra e il libro che la accompagna. Il bianco e nero avvolge fra luci e ombre, e sfondi neutri come atmosfere che alonano accolgono le persone di questa piccola comunità, oasi di serenità in un luogo esistenzialmente impervio quale una casa di reclusione sempre è. Occorre dire che la Lazzati ha potuto godere in tal caso della piena collaborazione dell’ente, in una logica perfettamente virtuosa, come da dettato costituzionale, ciò che mira al pieno recupero della persona privata, in forza di una pena, della libertà. Ne è una riprova un intervento scritto, all’interno del libro, dell’ex direttore della struttura, il Dottor Giacinto Siciliano. All’inaugurazione della mostra, mercoledì 14 marzo, sono giunte all’Ambrosianeum in permesso varie persone detenute/poeti del Laboratorio. Un altro segno di diffusa buona volontà, alias la ricostituzione del patto sociale. La parola alla fotografa: “Sì, sfidavo il pregiudizio di chi parla di “facce da detenuti”, “facce da criminali”. Se fosse stato detto dei volontari? Sarebbe stato esilarante, ironico e liberatorio. Uno sfatare i miti positivisti. È stato così […] Avevo i miei soggetti di fronte, senza distinzione di “ruoli”, e facevo spostare la persona che mi accingevo a fotografare, di volta in volta. Alle nostre spalle, l’“acquario”: il vetro attraverso il quale la polizia penitenziaria controlla. Sempre.” Invero quello di Margherita è stato un autentico viaggio avendo fotografato anche i momenti di culto religioso (svariate le confessioni praticate) e le celle dei cosiddetti Fine pena: mai, vale a dire gli ergastolani. “Il Fine pena: mai è una morte lenta. Senza speranza. Veniamo detti “civili”, ma quella che decretiamo è una tortura inaccettabile.” Il libro contiene tuttavia soltanto gli scatti delle persone del Laboratorio di lettura e scrittura creativa. Chiudiamo con un ultimo illuminante giudizio di Giacomo Camuri, storico della fotografia: “… una profondità nutrita di ricordi, aspettative e trattenute emozioni. In primo piano, allora, sono persone libere e “uniche”. Premessa di riscatto da sudditanze di ogni specie e via d’accesso a un più alto grado di verità. Non pochi sono i volti il cui sguardo adombra un desiderio di infinito.” Alberto Figliolia


Ritratti in carcere di Margherita Lazzati. Allestimento a cura della Galleria L’Affiche. Fondazione Ambrosianeum, via delle Ore 3, Milano (MM Duomo). Fino al 29 marzo 2018. Orari: da lun a ven 16-19, sab e dom 11-18. Info: tel. 0286464053; e-mail info@ambrosianeum.org; sito Internet www.ambrosianeum.org. Catalogo edito da La Vita Felice, 40 pp, 32 foto, euro 14. Intervista a Margherita Lazzati a cura di Beatrice Gaspari. Interventi di Giacinto Siciliano (già direttore della Casa di reclusione di Opera-Milano), di R.C. e C.D.E. (poeti del Laboratorio), di Giacomo Camuri (storico della fotografia), di Monique e Matteo Bosco (collezionisti), di Jacqueline Ceresoli (storica e critica d’arte contemporanea).