Occorre pensare per trovare l’equilibrio

In una società spensierata e sfrenata il pensiero guida il nostro desiderio

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Vito Mancuso è un autore molto prolifico, apprezzato da un vasto pubblico. Il suo ultimo libro, uscito lo scorso autunno, si intitola “Il bisogno di pensare”. La Chiesa evangelica riformata di Locarno ha organizzato una serata nell’ambito della quale il filosofo e teologo ha presentato questa sua opera. Paolo Tognina ha incontrato Vito Mancuso, a Muralto, a margine dell’evento:

Prendendo spunto dal titolo del suo libro, mi verrebbe da obiettare che noi viviamo in una società che è spensierata, che non vuole perdere tempo a pensare, che non sente spesso il bisogno di pensare, che preferisce lasciare che siano altri a pensare per noi…

Penso che la sigla del nostro tempo sia proprio il divertimento, all’insegna della spensieratezza, del non pensare. Esiste un verso delle cose, un versus, e rispetto a questo versus, che è quello del prendere sul serio il nostro essere homo sapiens - cioè il nostro essere esseri pensanti -, la nostra società di-verte, ti porta fuori.Tutto deve essere divertente. Il pensiero invece deve essere il contrario: non di-vertire, ma con-vertire. Dovrebbe portare le persone a non divergere più rispetto al verso vero dell’esistenza, ma a convergere sul senso dell’esistenza che è, secondo me, quello di chi si pone domande, non di chi vuole facili risposte che altri hanno già confezionato.

Occorre dunque pensare. Ma che cosa pensare? E soprattutto, come?

Pensare… il verbo rimanda a pesare. Quindi pensare anzitutto è pesare, tant’è che una maniera per dire pensare è anche soppesare, oppure ponderare, pesare nel senso di dare un peso alle cose. Lei mi chiede che cosa pensare. Pensare la vita, naturalmente. Come dice Karl Barth, nel suo commento alla Lettera ai Romani: “Il pensiero quando è vero è pensiero della vita e in ciò è pensiero di Dio”. Ora, si tratta di istituire la mente come una bilancia perché se non abbiamo un contrappeso, non possiamo pensare/pesare la vita. La vita ci stupirebbe continuamente con le sue manifestazioni, prenderebbe possesso di noi e quindi un giorno penseremmo così, l’altro giorno penseremmo cosà. Chi non ha questo raccoglimento, ma è in balia dei pensieri degli altri, in un certo senso ha una bilancia con un piatto solo. La mente funziona come una bilancia dove su un piatto metti quello che la vita ti propone e sull’altro, come contrappeso, metti il tuo valore, la tua visione del mondo, la tua filosoia di vita, la tua religione, la tua gerarchia ideale. A quel punto puoi pesare, ponderare, soppesare e dire: questo sì, questo no, e non essere in balia di chiunque si presenti, ma avere un tuo centro.

Se capisco bene abbiamo dunque bisogno di una bussola – se la posso chiamare così -, che ci permetta di valutare, soppesare ciò che ci arriva da fuori, dal mondo che ci circonda…

Sì, e anche quello che ci esce da dentro. Il problema è doppio, non c’è solo il mondo che ci circonda, ma c’è anche il mondo che è dentro di noi, questo mondo sconosciuto che è dentro di noi e che pure è reale. Quindi abbiamo un mondo che ci circonda, che sta al di fuori, rispetto al quale dobbiamo avere un pensiero per valutare e soppesare. E poi c’è un mondo interiore che pure è ambiguo, oscuro, magmatico e che dobbiamo afrontare allo stesso modo. E naturalmente in mezzo c’è l’io, il sé, la mente, l’anima, la coscienza – lei l’ha chiamata bussola, va benissimo -, che deve appunto orientarci nel cammino e farci capire quali sono le strade da prendere, e quelle da evitare.

Nel suo libro “Il bisogno di pensare”, lei parla anche di un pensare col cuore. Si tratta di un’indicazione suggestiva. Ci potrebbe descrivere in che cosa consiste?

È un’espressione che non ho coniato io, ma che riprendo da una pagina bellissima di Carl Gustav Jung, il quale a suo volta la riprende da un capo indiano che si chiamava Lago di Montagna. Parlando con Jung, il capo indiano sostiene che i bianchi sbagliano perché ritengono di pensare solo con la testa e dice:“Noi pensiamo che siano pazzi”. Jung risponde:“Ma scusa, in che senso? È ovvio, tutti pensano con la testa, perché voi come pensate?” E Lago di Montagna risponde toccandosi il petto, e dice:“Noi pensiamo qui”. Credo che ogni essere umano capisca la profondità di questa risposta. E quindi pensare col cuore vuol dire pensare in questa maniera che, al contempo, è quieta ed è calorosa. Quieta nel senso che vede le cose per quello che sono, e calorosa nel senso che tende a creare legami. Tu come vorresti essere pensato dagli altri? Come vorresti essere visto, guardato? In quella maniera con cui tu vuoi essere pensato, guardato, visto – con un pensiero che ti custodisce, ti protegge, ti vede per quello che sei realmente e ti valorizza -, allo stesso modo cerca di guardare gli altri. È difficile, non viene da sé, ma questa è l’arte del pensare con il cuore. Ed è secondo me la maniera migliore di vivere, quella che dà più sapore.

Nelle prime pagine del suo libro, lei immagina un dialogo con un interlocutore che non sa nemmeno che cosa sia pensare e cerca di convincerlo della necessità di pensare. Dunque pensare non è così spontaneo, è qualcosa che in qualche modo bisogna imparare a fare…

In realtà ci sono due livelli. C’è un livello per il quale pensare è assolutamente spontaneo perché signiica elaborare informazioni e, da questo punto di vista, non c’è nessun fenomeno vivente che non pensi. Poi però si sale a un livello più alto dove il pensiero cresce, diventa quella che i greci chiamavano dianoia o nous. Allora lì uno comincia a prendere consapevolezza del pensiero che gli altri gli hanno trasmesso, lo pesa, lo soppesa, ne prende le distanze, lo approfondisce, magari lo rigetta in alcune parti, magari lo rigetta del tutto, lo nega, lo supera, lo cambia, lo trasforma, si converte, passa ad altre ideologie, ad altri pensieri. Poi comincia anche a guardare se stesso, e comincia a mettere un po’ di ordine. Questo si chiama pensare. Non è naturale, certo, richiede un lavoro, ma questo lavoro è quello che fa di una persona un giardino. Uno può avere dentro di sé tante erbacce e un altro no. Qual è la diferenza? Che dentro di noi il nostro pensare, il nostro linguaggio è ordinato, è come un giardino. Invece quell’altro parla ed escono solamente spine, erbacce, confusione… Qual è la diferenza? Esattamente questo lavoro interiore che uno ha fatto su di sé.

C’è qualcosa di divino in questo? Mi viene in mente che nella Genesi, quando Dio crea non fa altro che mettere ordine ainché la vita possa esistere, possa crescere, perché nel disordine non cresce nulla. Quindi, questo pensare è un mettere ordine che permette la vita…

Sì, c’è qualcosa di molto divino. Tra l’altro, mettere ordine nella propria vita è il sottotitolo degli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola. Ordine vuol dire organizzazione, vuol dire logica, logos, quindi anche bellezza… sì, qui abbiamo a che fare con qualcosa di molto divino.

Un’ultima domanda. Il pensare che cosa dà, che cosa ci dona, che cosa ci regala?

Quando è condotto bene ci regala da un lato equilibrio e dall’altro visione per poter camminare. Non è il pensiero che ci dà slancio, quello è il desiderio. Però il desiderio da solo, se non è equilibrato e se non ha una visione verso cui andare, può appunto far sbandare, come una macchina che non ha il volante, che ha solo l’acceleratore, ma non hai i freni. Quindi che cosa occorre? Occorre che il desiderio sia disciplinato. E che cosa disciplina il nostro desiderio? È il nostro pensiero. Questo è il grande dono, inestimabile, che il pensare, il pensare bene, consegna a chiunque lo eserciti. (intervista a cura di Paolo Tognina) 

Intervista a Voce Evangelica 01.03.2018 [PDF]