Francesco, tre anni di pontificato

"Un grande profeta ma ha poco coraggio nel governo della Chiesa. Il problema è che i gesti sono radicali ma non lo è altrettanto l'azione di riforma. Le perle del pontificato? L'impegno per i poveri, per la giustizia sociale, per l'ecologia. Ma ora temo l'effetto boomerang". 

La semplice tunica bianca con cui si affaccia alla loggia di San Pietro. Quel saluto – "buonasera" – rivolto alla folla in piazza. La scelta del nome. La rinuncia all'appartamento nel Palazzo apostolico. In poche ore, tre anni fa, Francesco "travolge" il mondo con gesti che appaiono rivoluzionari. In tanti salutano il nuovo corso come un felice incontro tra la Chiesa e la modernità, nella scia del Concilio. Ma cosa è stato di quelle aspettative, tre anni dopo? Vito Mancuso – teologo vicino alle posizioni espresse nel cattolicesimo dal cardinale Carlo Maria Martini – fa un pausa prima di rispondere a questa domanda. "Non credo sia la modernità la chiave per interpretare il pontificato", dice scuotendo la testa. "Forse era più moderno Paolo VI, con la sua propensione a sentire l'inquietudine, la capacità di distinzione, i dubbi tipici della modernità. Francesco invece è molto più attento alla dimensione cristiana, nel senso profetico e radicale del termine" …

I gesti di papa Bergoglio sono rivoluzionari?
"Forse sì, ma nella misura in cui è rivoluzionario il Vangelo. Quei gesti ci hanno colpito per la loro genuinità, l'energia interiore, perché hanno il sapore del pane di casa. Ma il problema di questo pontificato è che alla radicalità dei gesti non corrisponde quella del governo. Il Papa non è chiamato necessariamente a essere un profeta ma è colui che deve governare la Chiesa cattolica, il suo primo legislatore. E la fortissima popolarità di Francesco, in particolare nel primo periodo, poteva consentirgli scelte di maggiore coraggio".

Partiamo da due Sinodi sulla famiglia: li considera un fallimento?   
"Parlare di fallimento è impossibile perché sono stati celebrati, hanno prodotto dei documenti. Ma non li considero un successo, perché siamo qui ad aspettare l'esortazione postsinodale che il Papa deve scrivere per capire come risolverà il nodo principale: quello dei sacramenti ai divorziati risposati".
La soluzione uscita dall'ultimo sinodo, che affida tutto alla scelta del confessore, le sembra inadeguata?
"L'orientamento del pontificato deve avere una precisa direzione, pur rispettando il discernimento del singolo pastore. Privilegiamo la cura pastorale della singola persona o la tradizione? Al momento non è chiaro". 

Il Papa doveva procedere con una riforma 'motu proprio'?
"Penso di sì. Ma sono tanti i campi in cui poteva fare scelte di governo più nette. Quando è stato eletto, ci si aspettava che desse una bella ripulita alla struttura e invece ci sono ancora gli scandali, come hanno rivelato i libri di Nuzzi e Fittipaldi. Ci sono stati errori nella selezione di collaboratori, come Balda e Chaouqui. E poi non basta fare la scelta di Santa Marta fino a quando ci saranno cardinali in superattici lussuosissimi. Anche sulla questione della pedofilia, le grandi parole – tolleranza zero, vicinanza alle vittime – non hanno avuto sempre conseguenze canoniche. Per esempio non hanno portato alle dimissioni di prelati potenti e chiacchierati".

Il cardinale Pell dovrebbe essere costretto a dimettersi?
"Io faccio riferimento alle parole di Francesco: un vescovo che ha coperto, anche solo in parte, sacerdoti colpevoli di questi crimini orribili non può restare al suo posto. L'ha detto più volte. Infine c'è la questione sempre irrisolta delle donne nella Chiesa. Tutti i Papi esaltano il genio femminile. Ma nel mondo protestante hanno donne vescovo, o almeno pastore. Qui da noi non si arriva neppure a parlare di diaconato"

Quali sono state invece, finora, le 'perle' di questo pontificato?
"L'attenzione ai poveri, alla giustizia sociale, all'ecologia, la splendida enciclicaLaudato si'. Francesco è uno dei pochi leader mondiali con una coerenza personale: vive in prima persona quello che dice, il suo messaggio è limpido. Va in Messico, alla frontiera, e fa arrabbiare alcuni politici americani, parla della salute del pianeta e si mette contro le multinazionali. Fa benissimo il profeta e questo lo aiuta a ottenere i grandi successi della diplomazia pontificia. Penso ai rapporti con le altre religioni, all'intervento sulla Siria del primo anno, all'operazione Cuba".

Chiudiamo con l'Italia. Per la Cei le unioni civili sono state un banco di prova importante. Il Papa che ruolo ha avuto?
"L'influenza di Francesco in parte c'è stata. L'impegno del mondo cattolico nel cosiddetto Family day mi è sembrato meno totalizzante che nel passato. Ma anche qui c'è una certa ambiguità: penso all'intervento di Bagnasco a favore del voto segreto in Senato, che è stato un po' un ricadere nelle tendenze ruiniane all'interferenza. Perché il presidente della Cei non è stato sostituito? Si vuole dare l'immagine di una Chiesa perennemente unita e concorde dietro il Papa, ma è solo retorica ecclesiastica. C'è una foto, l'ho twittata nei giorni scorsi. Mi sembra un emblema del suo isolamento.

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