Ultima inchiesta su Gesù

Tra fiction e saggio, Augias racconta la fine di Cristo 

Schermata 2015-09-14 alle 14.05.38L’anno cruciale per la storiografia su Gesù fu il 1906, quando il sogno di scriverne la biografia perfetta cadde in frantumi a seguito dell’opera di Albert Schweitzer intitolata “Storia della ricerca sulla vita” di Gesù. Schweitzer vi mostrava come la ricerca storica su Gesù, iniziata con gli scritti di Reimarus pubblicati da Lessing nel 1778, si dovesse ritenere conclusa con un sostanziale fallimento in quanto i singoli autori avevano interpretato Gesù ognuno secondo i propri ideali giungendo a un inaccettabile soggettivismo. Conclusione inevitabile a causa della natura delle fonti neotestamentarie, orientate a presentare il messaggio salvifico di Gesù e ben poco la sua storia reale. Da allora gli studi sul Gesù storico non si sono certo interrotti, anzi fioriscono con un ritmo tale che rende quasi impossibile seguirli. La sostanza però non muta: Meier, Sanders, Vermes, Neusner, Fabris, Barbaglio, Pesce, Ratzinger e moltissimi altri presentano ognuno un Gesù diverso, sicché leggendo le loro opere si incontra Gesù filtrato dalla loro teologia. La situazione non è quindi molto diversa da come la descriveva Rudolf Bultmann nel 1926: «Ciò che è stato scritto da circa un secolo e mezzo sulla vita di Gesù, sulla sua personalità e sulla sua evoluzione interiore ecc., è frutto di fantasia e materiale da romanzo» …Consapevole di questo status quaestionis, Corrado Augias propone nel suo nuovo libro sulle ultime ore di Gesù in uscita da Einaudi un lavoro che per buona parte è esattamente “frutto di fantasia e materiale da romanzo”. La differenza è che lo è in modo esplicito e tecnicamente avvertito perché dichiara che «qualunque storia è almeno in parte una bugia – o un sogno». Tale dosaggio di saggistica e di narrativa consente all’autore di presentare i personaggi storici arricchiti di personalità e al contempo di creare personaggi da romanzo molti vicini alla realtà. Sfilano così Myriam la madre e Joseph il padre di Gesù, anzi una delle trovate più interessanti riguarda proprio quest’ultimo, riscattato dalla figura piuttosto grigia di “san Giuseppe” e presentato come un single che ha lasciato la moglie e i figli, sempre inquieto per le origini non chiare di quel suo primo figlio da lui tanto amato, e che ora vive solo sulle alture di Gerusalemme: anche lui entrerà in scena nelle ultime ore del figlio. Miryam dal canto suo confessa di non riuscire a pensare a suo marito “senza rimorso”: «se solo avessimo trovato il modo, il coraggio, di parlarci davvero». Riguardo invece alle voci sulla risurrezione del figlio: «Non so se devo crederlo vivo, io non l’ho visto, se fosse vero e non è venuto a vedermi, sapendo quanto dolore ho ingoiato, vuol dire che ha cose più importanti da fare»; tuttavia non perde che la fiducia che “un giorno verrà”.

Schermata 2015-09-14 alle 14.33.16Ma chi sono per Augias i responsabili della morte di Gesù giocatasi in quel pugno di ore? Non il potere romano in quanto tale, perché Ponzio Pilato non fu all’origine della sua cattura e tutto sommato avrebbe voluto salvarlo. Neppure lo è il popolo ebraico in quanto tale, perché la frase del Vangelo di Matteo che parla di “tutto il popolo” (e che è all’origine dello stereotipo del popolo deicida) è giustamente mostrata da Augias nella sua falsità. I responsabili per Augias sono piuttosto i capi religiosi ebrei, Caifa e Anna, esponenti dell’aristocrazia religiosa ed economica, profondamente seccati dalla predicazione rivoluzionaria di Gesù: «un mestatore uscito dalla feccia del popolo che sobilla schiavi e prostitute». Augias inventa anche un intrigo di corte dovuto a un consigliere di Pilato legato da un rapporto masochista con una prostituta, Fillide. Nella storiografia su Gesù, nelle bugie e nei sogni che ogni interprete vi proietta, appare l’anima occidentale alle prese con gli eterni problemi dell’origine e del senso, del dolore e del morire, della vita presente e della vita futura. Chi è dunque Gesù per Augias? 

Non è certo il Figlio di Dio redentore dell’uomo, piuttosto «un uomo pio, di forte fede, tendenzialmente mite anche se, in alcune occasioni, ha ceduto a scatti d’ira o gridato frasi minacciose», quindi anche “aspro, difficile”, e tale da essere classificato come “un agitatore”. Nel colloquio con Lucilio, lo scrittore alter ego di Augias, Gesù spiega la sua missione in termini di “alternativa possibile”, di «vita libera dagli istinti, dal desiderio di possesso», e dice di rifiutare «una fede chiusa nell’ambito di una famiglia», «che si limiti ai riti della sinagoga, alla ripetizione meccanica dei versetti, all’obbedienza formale della Legge con il cuore vuoto». Insomma un Gesù in linea con la profezia biblica e la migliore filosofia morale, capace di analizzare con lucidità le contraddizioni della religione: «Le strutture religiose diventano spesso uguali alle istituzioni politiche, creano gerarchie, poteri, interessi, circola denaro, si mercanteggiano favori, si parla e si scrive troppo». Un Gesù che, contro l’obbedienza all’istituzione, assegna il primato alla spiritualità. «Dice di aver voluto rendere gli uomini liberi, dai riti dalle forme, dai sacerdoti; libero ognuno con la sua coscienza davanti a Dio».

Poco coerente però con questa intenzione di fondo è l’interpretazione di Giuda Iscariota fornita da Augias che, ispirandosi al Vangelo di Giuda, testo gnostico recentemente scoperto, lo presenta come il discepolo prediletto che consegna Gesù perché è il maestro stesso a chiederlo: ma così si pone la coscienza di Giuda libera davanti a Dio? Gesù al contrario la inchioderebbe alla più terribile tragedia. Altri particolari del lavoro di Augias non convincono, come la presentazione della spiritualità essena come mite e pacifica mentre gli esseni avevano una regola della guerra e mostravano aspra intolleranza verso le posizioni altrui.

Ma, come ho detto, raccontare Gesù significa esporre la propria visione del mondo: quindi attraverso il suo nuovo libro si incontra la grande simpatia di Augias per il mondo classico; la sua simpatia per la figura storica dell’ebreo Gesù; la sua tendenziale distanza dall’ebraismo istituzionale, e soprattutto la sua inequivocabile antipatia per il cristianesimo nato dalla predicazione di san Paolo. Non penso sia un caso che Augias lasci l’ultima parola alle sprezzanti osservazioni di Tacito sui cristiani. Quanto alla figura di Gesù, rimangono valide le parole di Schweitzer a conclusione del suo capolavoro: «Egli viene verso di noi come uno sconosciuto senza nome… Si rivelerà a coloro che gli obbediscono, si rivelerà nella pace, nell’azione, nelle lotte e nelle sofferenze che costoro vivranno in comunione con lui. Ed essi sperimenteranno chi egli è, come si conosce un segreto ineffabile». 

Vito Mancuso, la Repubblica 7 settembre 2015