Intervista alla rivista brasiliana IHUonline

Dopo un lungo inverno ecclesiale, un vento di aria pura e fresca soffia nella Chiesa. Il contributo del prof. Vito Mancuso alla rivista brasiliana IHUonline sui due anni di pontificato di Papa Francesco IHU Online n°465 [Link]

D: Quali sono gli aspetti positivi del pontificato di Francesco e quali altri aspetti meriterebbero più attenzione?

Schermata 2015-05-26 alle 09.33.10R: Anzitutto è una questione di stile. Il quale è tanto più evidente quanto più lo si confronta con i predecessori. Con Francesco abbiamo un altro stile di presentarsi: non più Sommo Pontefice ma “vescovo di Roma”, come si definì il giorno dell’elezione; un’altra abitazione: non più l’appartamento papale e la villa di Castelgandolfo ma il convitto di Santa Marta; un’altra croce pettorale, non più d’oro ma di ferro; abbiamo un altro tipo di scarpe, non più rosse, così eccentriche, ma nere, così normali. E poi il suo viaggiare in piccole autovetture, la scelta di portarsi da sé la borsa nera di lavoro, e un’altra gestione del tempo, come quando decise di disertare un solenne concerto di musica classica che prevedeva la sua presenza, cosa che un cultore dell’etichetta quale Benedetto XVI non avrebbe mai fatto. Insomma uno stile di vita austero, ben poco principesco e protocollare…

Ma la caratteristica più spiccata riguarda il linguaggio: quanta differenza non dico rispetto al rigoroso plurale maiestatis che regnava fino a Paolo VI, ma anche solo rispetto ai lunghi discorsi letti (spesso preparati da altri) di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, i quali anche nelle conferenze stampa mai e poi mai avrebbero potuto usare le popolaresche espressioni di Francesco. Ma anche così si esprime la vicinanza totale con il popolo che questo papa mostra in continuazione. 

Ma se Francesco con il suo linguaggio sta introducendo davvero qualcosa di inedito nella storia pontificia, e direi persino di scandaloso per il sussiegoso protocollo pontificio e per le orecchie dei cattolici tradizionalisti, non è certo per gioco: la scelta di questo linguaggio è diretta espressione del contenuto che egli sta dando al suo pontificato. Come può parlare un papa che non vuole macchine di lusso, che non sta nell’appartamento papale, che non indossa croci e anelli d’oro, che rinuncia con sistematicità a tutti i segni del potere? Esattamente come parla questo Papa, che fa della vicinanza al popolo la stella polare del suo essere pontefice, e che quindi si rallegra di poter riferire che un giorno a Buenos Aires a un tipo che tentava di corromperlo lui avrebbe dato più che volentieri “un calcio dove non batte mai il sole”…

Ancora più decisivo è il punto di vista che spesso il Papa assume: un inedito sguardo extra moenia o “fuori le mura”, che non pensa il mondo a partire dalla fortezza-Chiesa, ma, esattamente all’opposto, pensa la Chiesa a partire dal mondo. Nei suoi ragionamenti non c’è traccia della consueta prospettiva ecclesiastica centrata sul bene della Chiesa e la difesa a priori della sua dottrina, della sua storia, dei suoi privilegi, dei suoi beni, così spesso oggetto di cura gelosa da parte degli ecclesiastici di ogni tempo. C’è al contrario un pensiero che ha di mira unicamente il bene del mondo. Per questo il Papa è giunto a dire una volta che il problema più urgente della Chiesa è la disoccupazione dei giovani e la solitudine dei vecchi, oppure un’altra volta a dichiarare come scandaloso il fatto che le donne guadagnino meno degli uomini. 

È questo nuovo punto di vista non più ecclesiocentrico che lo porta alla scelta di non insistere su cosiddetti “valori non negoziabili” di vita-scuola-famiglia tanto fondamentali per Benedetto XVI, e di non volere entrare nella vita dei singoli come quando a proposito dei gay disse: “Chi sono io per giudicare?”. E che genera in lui quello stile conciliare permanente, a suo tempo auspicato dal cardinal Martini, e che l’ha portato a convocare il Sinodo sulla famiglia in due puntate facendolo precedere da una consultazione popolare in tutto il mondo sui temi spinosi della morale familiare. Sempre in questa prospettiva non va ovviamente dimenticata la ripetuta preferenza verso i poveri e il conseguente riaccredito della teologia della liberazione condannata da Wojtyla e Ratzinger, il parlare della Chiesa come di “un ospedale da campo”, l’attacco al clericalismo e alla cortigianeria della curia.

Lei mi chiede anche quali aspetti meriterebbero più attenzione. La risposta è semplice: sono questi stessi aspetti, solo che andrebbero approfonditi e portati a compimento, generando veramente quella svolta a livello strutturale di cui la Chiesa cattolica necessita.  

Come è valutato il pontificato di Francesco in Italia, tra i cattolici in generale e la Chiesa italiana?

Tra la gente in Italia c’è molta empatia verso Francesco, come del resto in tutto il mondo. Lo stesso però non si può dire del clero e soprattutto dei vescovi. L’episcopato italiano, da sempre nella sua maggioranza su posizioni conservatrici e tradizionaliste, è tra i più freddi a livello mondiale nel seguire papa Francesco.

Non bisogna dimenticare che storicamente la Chiesa italiana non è mai stata libera dalle commistioni con la politica. La Chiesa italiana, guidata prima dal cardinal Ruini e poi dal cardinal Bagnasco, dovrebbe recitare non pochi mea culpa per non aver denunciato a sufficienza l’immoralità pubblica e privata di chi per anni governava l’Italia (mi riferisco ovviamente a Berlusconi), di cui al contrario si è giunti persino a contestualizzare benignamente le pubbliche bestemmie per ottenere favori politici, per esempio riguardo all’ora di religione nelle scuole pubbliche. 

Ora con papa Francesco tutto questo è finito nella Chiesa italiana? Non so, è vero che in Italia c’è anche un altro governo, ma finora gli uomini del potere ecclesiastico sono quasi sempre gli stessi, né le nuove figure brillano particolarmente per intelligenza e coraggio.

Comunque una novità molto importante riguarda la lotta contro la mafia. Papa Francesco ha dichiarato in Calabria: “I mafiosi sono scomunicati”. Finalmente la lotta della Chiesa contro la criminalità organizzata diviene più ferma e coerente. Il papa è giunto anche a fare il nome specifico della mafia calabrese, oggi la più potente d’Italia: “La 'ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune”, e ha aggiunto: “Questo male va combattuto, va allontanato, bisogna dirgli di no”. E ha comminato la scomunica. Ovviamente ci vuole ben altro per sradicare il fenomeno, ma per la Chiesa non si tratta di cose di poco conto. 

Lei menziona l'esistenza di un “fenomeno paradossale” in relazione al pontificato di Francesco, perché, da una parte, c'è una crescita della accettazione popolare del pontificato e, dall'altra, la crescita della opposizione interna al papato. Ci può spiegare quali sono le ragioni di questo “fenomeno paradossale” e come ci si è manifestato in questi due anni di pontificato?

Siamo effettivamente di fronte a un fenomeno paradossale: alla crescita continua del favore popolare verso papa Francesco e contestualmente alla crescita altrettanto continua dell’opposizione interna verso di lui da parte dell’ala intransigente della Chiesa cattolica di cui fanno parte cardinali importanti tra cui il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede Gerhard Müller, vescovi, teologi, responsabili di movimenti ecclesiali, opinionisti ed episcopati importanti come quello polacco e quello italiano. Sicuramente dopo la chiusura del Sinodo nel prossimo ottobre si avranno le idee più chiare su quanto pesano tra le gerarchie cattoliche gli oppositori di papa Francesco.

Tale paradosso (aumento del favore popolare e aumento dell’opposizione gerarchica) si spiega abbastanza semplicemente: è la perfetta radiografia dello scollamento di buona parte della gerarchia ecclesiastica rispetto alla vita reale, quello scollamento di cui il cardinale Carlo Maria Martini parlava dicendo: “La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni”. 

Nel suo primo anno Francesco forse credeva di poter convertire la mente dei prelati mostrando cosa significa essere autorità nella Chiesa con il suo stile semplice e austero di vita. Nel secondo anno però ha dovuto prendere atto che ci vuole altro, perché, mentre lui vive in una settantina di metri quadrati, vi sono cardinali che non hanno rinunciano per nulla al lusso e soprattutto ve ne sono molti altri del tutto contrari a seguirlo nelle riforme. Si spiega così a mio avviso il ripetuto insistere del papa contro i vizi del clericalismo, culminato nella predica alla Curia del 22 dicembre 2014 con la denuncia dei 15 mali della burocrazia vaticana, riassumibili in uno solo: l’identificazione con il potere. La battaglia infatti è tra misericordia e potere, tra Chiesa “ospedale di campo” funzionale ai bisogni della gente e Chiesa somma autorità cui la gente deve obbedire, tra Chiesa dei poveri e Chiesa potente tra i potenti. Nessuno sa come finirà questa battaglia iniziata due anni fa, ma di certo i cardinali e i curiali che si oppongono a Francesco sono l’espressione di ciò che per secoli è stato il papato, sicché riformare la loro mentalità significa riformare il papato come potere assoluto. 

Con papa Francesco infatti si è passati da un papato dal profilo sostanzialmente dottrinario (secondo cui il papa è colui che spiega, insegna, corregge, e così governa) a un papato dal profilo esistenziale e spirituale (il papa è colui che capisce, condivide, soffre e gioisce con, e così governa), ma non è per nulla chiaro se questa trasformazione radicale sia apprezzata e voluta dai vescovi e dai cardinali. Al di là della retorica delle dichiarazioni ufficiali, quanti di essi sono disposti a seguire fino in fondo Francesco passando da una Chiesa in cattedra a una Chiesa “ospedale da campo”, a lasciare i privilegi del potere e a prendere “lo stesso odore delle pecore”? Se si dovesse tenere oggi il Conclave, quanti cardinali elettori rivoterebbero Bergoglio?

Il pontificato con la conclusione del Sinodo si trova di fronte a una prova decisiva: quella di vedere o no confermato lo stile nuovo da esso impresso all’azione della Chiesa, e quindi inevitabilmente anche alla sua identità. 

Come interpreta l'idea secondo cui il Papa propone una “riforma” della Chiesa? In che punti il Papa vede la necessità di fare mutamenti? Quali sono le indicazioni di che questi cambiamenti hanno accaduto negli ultimi due anni?

È ancora presto per stabilire se Francesco riuscirà a essere davvero riformista, o addirittura rivoluzionario, perché la sua azione si deve ancora sostanziare in concreti atti di governo e di riforme introdotte. Finora l’unica vera riforma strutturale mi sembra sia quella che ha riguardato lo Ior, che certo non è cosa da poco, ma non basta. La Curia romana è tale e quale. Né sono state prese decisioni a proposito dei grandi problemi che riguardano la struttura della Chiesa, di cui ai primi posti occorre mettere i criteri di nomina dei vescovi, una reale libertà di insegnamento teologico, l’effettiva promozione della donna a livello di condivisione del potere aprendo per lo meno al diaconato femminile, la concessione dei sacramenti ai divorziati risposati, lo statuto delle persone omosessuali e della loro affettività. Si tratta di rendere il governo della Chiesa cattolica più conforme al volere del Vaticano II, di incidere sul rapporto con la politica facendo cessando per sempre la compravendita di favori tra cardinali e ministri, di mettere ordine tra i vescovi e i superiori degli ordini religiosi richiamando tutti a uno stile di vita sobrio e conforme ai valori evangelici, di impostare su basi nuove il reclutamento e la formazione del clero. 

Venendo ai temi etici, la questione più scottante è certamente quella della procreazione responsabile. Qui il Papa, dicendo di aver incontrato una donna incinta dell’ottavo figlio dopo che ne aveva avuti sette mediante parto cesareo, è giunto ad affermare che una maternità non controllata e non responsabile equivale a tentare Dio ("Ma lei ne vuole lasciare orfani sette? Ma questo è tentare Dio”). Come siamo distanti dall’immagine di madre tanto cara al cattolicesimo tradizionale che si sacrifica totalmente per i figli arrivando persino a morire per metterli al mondo! Tutto questo però rimane ancora solo a livello di episodio, di “fioretto”, senza trovare espressione nella dottrina, che va completamente rivista a proposito del tema specifico della contraccezione. 

Per evitare la procreazione indiscriminata condannata dal papa la Chiesa oggi propone i cosiddetti “metodi naturali”, ma si tratta di un procedimento che solo poche coppie riescono ad attuare, le statistiche dicono che tra i cattolici praticanti coloro che l’osservano variano dall’8 al 1 percento. Consapevole di queste cose il cardinal Martini nella sua ultima intervista, pubblicata all’indomani della sua morte, aveva dichiarato: “Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale: la Chiesa è ancora in questo campo un’autorità di riferimento o solo una caricatura dei media?”. Sulla stessa linea si è espresso nel febbraio 2014 il cardinal Kasper nella relazione al Concistoro straordinario sulla famiglia: “Dobbiamo essere onesti e ammettere che tra la dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia e le convinzioni vissute di molti cristiani si è creato un abisso”. Il Papa sa benissimo che questa è la situazione, ma deve affrontarla e finora non l’ha fatto.  

Lei richiama l'attenzione sul fatto che Francesco lavora con l'obbiettivo di avere una Chiesa che sia aperta al primato della coscienza, alla modernità e che consulti i credenti sui temi morali. Come queste tre aperture appaiono nel suo pontificato? Potrebbe commentare su ognuna di esse?

Quando si parla di etica si tratta in primo luogo di rispondere a questa domanda: esiste il bene, il bene come qualcosa di universale e di oggettivo che vale per tutti senza dipendere dalle circostanze, oppure tutto dipende dalle circostanze e non esiste il bene ma solo il conveniente? Questa è la domanda numero uno della teologia morale. La domanda numero due consegue logicamente: ammesso che questo bene universale esista, qual è, come si riconosce, chi lo può riconoscere?  

La risposta del cattolicesimo è semplice e chiara: 1) esiste un bene comune a tutti gli uomini, universale, oggettivo, che non dipende dalle circostanze o dai sentimenti o dalle emozioni, ma che si sostanzia nella natura delle cose; 2) tale bene consiste in ciò che favorisce la vita e come tale ogni uomo lo riconosce mediante la luce della propria coscienza. 

La capacità di conoscere il bene oggettivo mediante la coscienza soggettiva viene espressa dal cattolicesimo con il concetto classico di sinderesi, definito dal Catechismo “la percezione dei principi della moralità” (art. 1780). La sinderesi esprime la capacità luminosa di ogni coscienza umana di riconoscere il bene anche a prescindere dal proprio interesse e dalle diverse circostanze storiche e geografiche, la capacità di sapere se si sta facendo il bene oppure no, fondando così la capacità di giudizio responsabile, a sua volta fondato sulla realtà della libertà. Solitamente ci si riferisce a questa dimensione dicendo “luce della coscienza”, o anche “voce della coscienza”. 

Il primato della coscienza quindi non è ontologico, ma gnoseologico. Ma a quest’ultimo livello è assolutamente essenziale, esprime lo spirito interiore più autentico del cattolicesimo. Ed è precisamente a partire da tale primato della coscienza che occorre affrontare i temi che la modernità propone soprattutto a livello etico. Come ho già ricordato il cardinal Kasper ha sottolineato che “tra la dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia e le convinzioni vissute di molti cristiani si è creato un abisso”, ma quanto affermato da Kasper per la famiglia vale a mio avviso per molti altri ambiti della dottrina cattolica, anzi io penso che valga per il concetto stesso di dottrina, intesa come sistema di verità stabilite che il credente è tenuto a professare e su cui vigila la Congregazione per la Dottrina della Fede, che prima del 1965 si chiamava “Sacra Congregazione del Sant’Uffizio” e prima del 1908 si chiamava “Sacra Congregazione della Romana e Universale Inquisizione”.

Elencare i molti elementi che rendono l’insegnamento della Chiesa lontano dalla realtà non è difficile, sono quelli già nominati sopra, la dottrina sulla regolazione delle nascite con il fallimento pratico e teorico dell’Humanae Vitae di Paolo VI, l’identità sessuale e l’omosessualità al cui riguardo occorre cessare di parlare di malattia come ancora spesso si fa. Vi è poi il ginepraio della bioetica da cui non si esce continuando a ripetere solo dei no soprattutto sulla fecondazione assistita, il destino degli embrioni congelati, la diagnosi degli embrioni prima dell’impianto, il principio di autodeterminazione a livello di testamento biologico. 

Vi sono poi i problemi ecclesiologici che già nel 1987 Hans Küng definiva “noiose vecchie questioni”, su cui pure già ho detto: i criteri di nomina dei vescovi, la collegialità come metodo di governo, il celibato del clero, la libertà di ricerca in ambito teologico, la questione laicale, la questione femminile, la riforma della curia romana, il rispetto dei diritti umani all’interno della Chiesa – di cui “la tratta delle novizie” denunciata dal Papa è un aspetto sconcertante. 

Uno dei concetti che Francesco usa è quello della misericordia. Quale è il significato di questo concetto nelle sue parole e interventi?

La misericordia esprime l’identità del messaggio cristiano. È il nucleo di ciò che classicamente viene detto vangelo e che letteralmente significa, com’è noto, “buona notizia”. La buona notizia che la Chiesa deve consegnare al mondo è la misericordia, la tenerezza del cuore, che prima di essere un sentimento, è una realtà ontologica, esprime l’essenza della vita, di cui si comprende la natura pensando al rapporto madre-figlia. La Chiesa o è in funzione di questo annuncio fondamentale o è come il sale che perde il suo sapore e che non serve a nulla se non a essere calpestato dagli uomini. Il papa ci sta aiutando a riscoprire tutto ciò. 

Qual è il ruolo geopolitico di Papa Francesco? In questi due anni, abbiamo visti i suoi discorsi contro l'intervento militare in Siria, sulla necessità di riconciliazione tra Cuba e gli Stati Uniti, per esempio, seguiti da discorsi che richiamano l'attenzione sulle implicazioni sociali ed economiche della globalizzazione. Da questo, come valuta il ruolo geopolitico di Francesco? Quale è la intenzione del Papa con questi discorsi?

Il ruolo geopolitico di Francesco è notevole, lo si comprende dal suo aver contribuito a scongiurare l’intervento militare occidentale in Siria e soprattutto dall’aver favorito la storica riconciliazione tra Cuba e Usa. Anche la dura reazione del premier della Turchia a proposito delle dichiarazioni papali sul genocidio armeno mostra quanta importanza venga attribuita al papa nel contesto mondiale. Vi sono poi i passi di avvicinamento alla Cina e l’essere diventato un faro per il Sud del mondo e per i poveri. 

In Italia un osservatore come Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano “La Repubblica” e non credente, ha scritto che grazie a Francesco “Roma è ridiventata la capitale del mondo… Roma, la città di papa Francesco, è il centro del mondo”. Scalfari parla ovviamente della leadership spirituale, di cui l’occidente ha un immenso bisogno per continuare a credere nei grandi ideali dell’umanità, tradizionalmente definiti come bene, giustizia, uguaglianza, solidarietà, fratellanza. In un mondo dove tutto è potere e calcolo, la figura di questo papa fa comprendere che non tutto nell’essere umano è riducibile a potere e calcolo, che c’è ancora spazio per la gratuità, l’amore sincero, la volontà di bene per il bene. 

Il suo fallimento sarebbe la fine della luce che si è accesa nell’esistenza di tutti gli esseri umani, anche in molti non credenti come Scalfari. Se lo ricordino i cardinali, i monsignori e i teologi che stanno facendo di tutto per bloccare e far fallire l’azione riformatrice di papa Francesco.    

In vari momenti dei suoi interventi, il Papa ha richiamato l'attenzione sugli atti di violenza in atto nel mondo, citando, ad esempio, la morte di oltre un centinaio di bambini che sono stati macellati in Pakistan, la cultura del rifiuto all'altro, “le forme equivocate di religione”; ha ricordato il massacro di Parigi e ha commentato anche la situazione dei cristiani massacrati e perseguitati nel Medio Oriente, alludendo all'Is. Ha ribadito anche che “non si deve permettere che le credenze religiose vengano abusate per la causa della violenza”. Come legge questi esempi?

La questione critica è formulabile in questo modo: chi attacca e uccide i cristiani intende colpire la religione di Gesù oppure la religione dell’Occidente? È chiaro che né in un caso né nell’altro la violenza avrebbe la benché minima giustificazione, tuttavia non è di poco conto sapere perché il cristianesimo oggi nel mondo risulta la religione più perseguitata. Nella storia infatti non è stato così. In essa i rapporti tra religioni non sono mai stati pacifici e anche nel passato si possono segnalare episodi di violenta repressione di cui sono stati oggetto i cristiani, così come del resto si possono segnalare episodi in cui la violenza veniva esercitata dalle chiese cristiane, in primis da quella cattolica, anche in forma istituzionale e continuativa. Torna quindi la domanda: perché in questi anni il cristianesimo è diventato oggetto di tale violenza? Perché proprio oggi? Eliminando i cristiani, si intendono colpire i seguaci di Gesù o i rappresentanti dello stile di vita occidentale percepito come una minaccia mortale per la propria identità? 

Non ci sono risposte facili e io di certo non ne ho. Quello che mi sento di dire è che, oltre a combattere il terrorismo con rigore, va intrapresa una grande battaglia di purificazione del cristianesimo per farlo assomigliare sempre più al messaggio di Gesù e sempre meno a una legittimazione del potere. E penso che quanto papa Francesco stia facendo in questa prospettiva sia semplicemente straordinario. 

Come il cristianesimo può essere una risposta alle sfide della modernità? Che risposte il cristianesimo ha da offrire alla modernità?

In parte abbiamo già toccato questi argomenti, ne approfitto comunque per approfondire il concetto di modernità. Esso significa, per come l’intendo io, il primato della persona. Con la modernità inizia quel processo che porta il singolo a essere più importante rispetto alle organizzazioni statali, aziendali o ecclesiastiche. Da qui il grande travaglio che ha attraversato e sta attraversando la teologia e la morale. 

Prendiamo la posizione cattolica tradizionale riguardo sia alle persone omosessuali, alle persone divorziate, al ruolo attualmente ricoperto dalle donne all’interno del governo della Chiesa. Perché oggi sono insostenibili? Esattamente per il primato del singolo. A questo riguardo infatti occorre coerenza: non si può proclamare a parole il rispetto per le persone omosessuali in quanto figli di Dio di pari dignità e poi giudicare la loro condizione come condannata dalla legge naturale e dalla Bibbia; al contrario, se veramente si vuole mostrare in modo concreto il rispetto di cui si parla, occorre mettere in atto ermeneutiche conseguenti sia della legge naturale (da intendersi in senso formale come armonia delle relazioni e non come definizioni di ruoli e di comportamenti) sia delle pagine bibliche che condannano le persone omosessuali (relegando tali pagine accanto a quelle che favoriscono la guerra o l’inimicizia verso le altre religioni e che non meritano di essere più prese in considerazione). Occorre cioè giungere all’evangelico “non giudicare” e “non condannare”. 

Allo stesso modo se veramente si vuole che sia la misericordia ad avere il primato per i divorziati risposati occorre mettere in atto una disciplina canonica dei sacramenti che conceda loro di accostarvisi senza nessuna discriminazione. Allo stesso modo infine se veramente si vuole che la donna abbia maggiore potere all’interno della Chiesa si deve procedere di conseguenza e, come ho già detto, aprire per lo meno, e da subito, al diaconato (che le donne possano accedere al diaconato lo testimonia il Nuovo Testamento, basta leggerlo e applicarlo).

Quali sono le prospettive per la Chiesa con il pontificato di Francesco? Dove lui sta guidando la Chiesa?

Io non so dove Francesco sta guidando la Chiesa e forse neppure lui lo sa. Come ogni vero cammino di novità procede conoscendo solo il prossimo passo e non i passi che verranno poi, allo stesso modo Francesco. L’importante è camminare in avanti, senza cadere e senza tornare indietro. In gioco c’è il ruolo dell’intera Chiesa cattolica: c’è il diritto dei battezzati di avere una Chiesa di cui fidarsi, nella quale i vescovi vengano scelti per effettive qualità e non per giochi di potere e siano sobri come gli apostoli e non opulenti come i magnati, dove la banca vaticana dello Ior sia per lo meno al livello etico di una banca ordinaria, dove non vi sia la sporcizia a suo tempo denunciata da Benedetto XVI, dove gli uomini e le donne di oggi si sentano a casa perché capiti anche nei loro errori e non giudicati da una mentalità freddamente dottrinale, dove gli scandali di pedofilia non siano insabbiati e i colpevoli coperti. La posta in gioco è una Chiesa degna della passione dei numerosi sacerdoti onesti che le hanno dedicato la vita, così come della religiose e dei religiosi. È per una Chiesa di questo tipo che lavora papa Francesco insistendo sul primato della coscienza, l’apertura alla modernità, la consultazione dei fedeli sui temi della morale, il riaccredito della teologia della liberazione, la preferenza verso i poveri, un linguaggio in grado di arrivare a tutti. Bergoglio sa che il primo passo della Chiesa è tornare a credere al Vangelo anzitutto ai suoi vertici, sa cioè che l’evangelizzazione riguarda anzitutto la gerarchia ecclesiastica. 

Chi oggi sostiene ancora il no ai sacramenti per i divorziati risposati, il no alla contraccezione, il no ai rapporti prematrimoniali, il no alla benedizione delle coppie gay, è fuori dal mondo nel senso che non ne capisce l’evoluzione. E con ciò si priva della possibilità dell’azione peculiare che il Vangelo chiede a chi vi aderisce, cioè l’amore. 

Vorrebbe aggiungere qualcosa?

Vorrei aggiungere una riflessione prendendo in considerazione l’ipotesi che Francesco fallisse. Che cosa avverrebbe se le riforme auspicate non andassero in porto e le attese di una nuova primavera si rivelassero solo illusioni? 

Io penso che per il cattolicesimo sarebbe un colpo terribile, perché le enormi speranze che questo Papa sta suscitando si rivolgerebbero in un’altrettanto enorme delusione e il contraccolpo sulla credibilità della Chiesa potrebbe essere devastante, se non letale. Non morirebbe la spiritualità, che è radicata da sempre nel cuore umano, ben prima della nascita del cristianesimo. Non morirebbe neppure il cristianesimo, che troverebbe altre forme per esprimersi, come ha fatto in altri luoghi del mondo. Si avvierebbe invece irreversibilmente alla morte la Chiesa cattolica gerarchica così come la conosciamo, perché nessuno potrà e vorrà avere più fiducia in una struttura dimostratasi restia a seguire un cristiano sincero e un uomo buono come Jorge Mario Bergoglio. Il fallimento del papa “venuto dalla fine del mondo” segnerebbe la fine della Chiesa gerarchica e istituzionale. Non so se è questo che vogliono i numerosi cardinali, vescovi e curiali che gli si oppongono, ma penso sia bene che lo sappiano.